“Non bisogna mai denigrare
le manifestazioni della religiosità popolare
perché sono la radice evangelica della fede”
Giovanni Paolo II – Congresso Eucaristico Internazionale, Siviglia 1993
Sant’Antonio di Padova è senza dubbio uno dei Santi più amati e venerati al mondo, chiamato spontaneamente dal popolo cristiano il “Santo” per eccellenza. A distanza di quasi otto secoli dalla sua morte, il suo culto non ha conosciuto tramonto: non si contano, infatti, sparsi in tutto il mondo, gli altari, le chiese, le cappelle, le statue e i dipinti dedicati al Santo di Padova. I fedeli vedono in sant’Antonio l’amico confidente, il compagno di viaggio sempre presente e disponibile per le persone con tutti i loro problemi grandi e piccoli, l’intercessore e benefattore in nome di Dio. Sant’Antonio è il grande apostolo della conversione. Semina la Parola di Dio per invitare a cambiare vita e a sperare nell’infinita misericordia di Dio: il suo è un incessante appello a mettere sempre Dio al primo posto nella vita di ogni giorno.
A Barcellona il Santo è chiamato amorevolmente “Sant’Antuninu”. Un incisione marmorea seicentesca sull’ingresso laterale della chiesa: “PERAMABILIS S. ANTONINUS”, l’amatissimo sant’Antonino, rivela il profondo affetto che da sempre i fedeli hanno nutrito verso il loro celeste patrono. Oltre che nella preghiera personale, la devozione a sant’Antonio si è manifestata in alcune espressioni particolari che richiamiamo di seguito.
La tredicina
Con questo termine si intendono innanzitutto i tredici giorni di preparazione alla festa di sant’Antonio, che ha luogo il 13 giugno, giorno della sua morte. Dal 31 maggio al 12 giugno, dalle prime luci dell’alba e fino a tarda serata, folle di fedeli gremiscono il Santuario per pregare il Santo con la tradizionale tredicina, una parafrasi rimata del celebre responsorio Si quæris miracula. Diversi fedeli e molti bambini indossano, fino al giorno della festa, l’abito votivo che ripropone il saio francescano del Santo.
I tredici martedì
È una pia pratica connessa al giorno dei funerali del Santo (martedì 17 giugno 1231). Nel 1617 una devota signora di Bologna ricorreva al patrocinio di sant’Antonio per una grazia che le stava sommamente a cuore. Ora, una notte le apparve il Santo che le disse: «Visita per nove martedì la mia immagine collocata nella chiesa dei Frati Minori, ricevi i Sacramenti e sarai esaudita». Quella obbedì e, dopo nove mesi, divenne madre di un bambino, ma deforme. Addolorata non meno di prima, con profonda fede, fece portare all’altare di sant’Antonio il figlio che, appena fu collocato ai suoi piedi, apparve guarito, tutto grazioso e bello. La notizia di tale avvenimento si propagò rapidamente e con essa la devozione dei nove martedì che, in seguito, dalla pietà dei fedeli, vennero portati a tredici, in ricordo del 13 giugno, giorno della gloriosa morte del Santo.
Durante i tredici martedì che precedono la festa di giugno, al Santuario giungono in pellegrinaggio diverse parrocchie di Barcellona e dei comuni viciniori. Questi tredici martedì, cosiddetti “maggiori”, sono articolati in vari momenti: la recita del rosario e della tredicina, la celebrazione eucaristica, la fiaccolata con il canto delle litanie in onore di sant’Antonio e, infine, l’affidamento dei pellegrini e delle loro parrocchie al Santo.
Il pane di sant’Antonio
La tradizione del Pane di sant’Antonio trae la sua origine da uno degli innumerevoli prodigi attribuiti a sant’Antonio, negli anni che seguirono la costruzione della sua Basilica a Padova. Una biografia del Santo, redatta nel 1293, narra di un prodigio avvenuto a Padova dopo la morte di sant’Antonio: un bambino di appena venti mesi, di nome Tomasuccio, era annegato perché la madre lo aveva lasciato incautamente accanto ad un recipiente pieno d’acqua. La donna, disperata, fece voto che avrebbe dato ai poveri tanto frumento, quanto il peso del bambino, se il Santo lo avesse risuscitato. Il prodigio si compì. Da allora nacque una tradizione chiamata «pondus pueri» (il peso del bambino): i genitori promettevano al Santo tanto pane quanto era il peso dei figli, in cambio della sua protezione. Col tempo si consolidò l’abitudine di offrire del pane in cambio di una grazia accordata. La pratica, un po’ modificata, venne istituzionalizzata alla fine dell’Ottocento, quando crebbe l’interesse per le questioni sociali e la sensibilità verso i poveri. Sorse, così, a Padova l’«Opera del pane dei poveri»: in giorni prestabiliti i padri distribuivano il pane e, in seguito, anche altri generi di prima necessità come legna e vestiario. Sull’esempio di Padova sono sorte altre mense in Italia e all’estero. In questo modo il «pane dei poveri» diventa pane reale, capace di alleviare le sofferenze e rinsaldare la speranza. A Barcellona, una giornata della tredicina è dedicata ai panificatori della città che offrono al Santo il pane del loro lavoro. Il 13 giugno vengono benedette e distribuite ai fedeli migliaia di pagnottelle. Un tempo si imbandiva, nei locali del chiostro, una mensa per gli orfani e i bambini più poveri.
L’affidamento dei bambini
Come Gesù, anche sant’Antonio ha avuto una particolare predilezione per i bambini e i fanciulli, operando in loro favore insigni prodigi. Fra i miracoli da lui compiuti quando era in vita, più di uno riguarda proprio loro. Risuscitò, infatti, un bambino soffocatosi nella culla e altri dieci fanciulli annegatisi. Preservò da morte un pargoletto caduto in una caldaia di acqua bollente; risanò un fanciullino rattrappito e guarì una bambina tormentata dal male caduco e storpia dei piedi, e un’altra affogatasi; mentre un altro bambino perito in mare e un secondo in un recipiente di acqua furono dal Santo richiamati alla vita. Il 13 giugno 1231 egli moriva all’Arcella, alle porte di Padova, e schiere di fanciulli, percorrendo le vie e le piazze della città, ne annunziavano il transito beatissimo, cantando: “E’ morto il Santo, è morto sant’Antonio!”. Era la sua prima canonizzazione, proclamata dagli angeli terreni.
Per il grande amore con cui il Santo predilesse i fanciulli, è invalsa la tradizione di porre i piccoli fin dalla loro nascita sotto la sua protezione.
A Barcellona una giornata della tredicina è particolarmente dedicata ai bambini. A centinaia giungono al Santuario, accompagnati dai genitori, per ricevere la solenne Benedizione per intercessione di sant’Antonio. Il 13 giugno, poi, si ritrovano tutti ai piedi del Santo per il tradizionale atto di affidamento.
La sacra Lingua
Sant’Antonio, morto il 13 giugno 1231 nel convento francescano dell’Arcella, venne lì inumato provvisoriamente, a causa del gran caldo, in attesa dell’arrivo del padre provinciale dei frati Minori. Il 17 giugno, cioè cinque giorni dopo la sua morte, il corpo del Santo contenuto in una semplice e povera cassa lignea, dall’Arcella, in forma processionale e solenne, venne trasferito alla chiesetta di Santa Maria Mater Domini, sulla quale sorse l’odierna Basilica. L’8 Aprile 1263, alla presenza del Ministro Generale dell’ Ordine Francescano, san Bonaventura da Bagnoregio, il corpo di sant’Antonio venne traslato dalla chiesetta francescana di S. Maria Mater Domini alla nuova Basilica eretta in suo onore e venne deposto in un’arca marmorea sostenuta da quattro colonne. La salma, rimasta per trentadue anni sotto terra, venne dissepolta. Scoperta commovente: la lingua del Santo non si era decomposta; dopo tanti anni era rimasta fresca, vermiglia e integra. Si dice che san Bonaventura, mostrandola ai presenti, abbia così pregato: “O Lingua benedetta, che benedicesti sempre il Signore e lo facesti benedire dagli altri, ora appare chiaro quanti meriti avesti presso Dio!” A ricordo di tale evento a Padova, il 15 febbraio, è stata istituita la Festa della Traslazione delle Reliquie del Santo, popolarmente detta Festa della Lingua.
Anche a Barcellona, dopo anni di oblio, è stata ripristinata tale festività. La festa della lingua di sant’Antonio aiuta i devoti del Santo a ricordare l’evento prodigioso e ci comunica un significato ulteriore, nel culto della peculiare reliquia: attraverso il prodigio della lingua incorrotta, ancora visibile ai nostri occhi, veniamo invitati da sant’Antonio a riscoprire il Vangelo che egli ha predicato instancabilmente e con totale dedizione. La Parola di Verità, assiduamente proclamata ha preservato la lingua per mezzo della quale, generosamente e senza risparmio, è stata donata ai poveri, agli indigenti, ai peccatori.
Ex voto
Il Santuario custodisce centinaia di ex voto, soprattutto monili d’oro, che i devoti offrono come segno di gratitudine al Signore per intercessione di sant’Antonio. Il voto indica un impegno preso davanti a Dio, alla Vergine o a un Santo per chiedere un favore o rendere grazie. Gli ex voto, quindi, rappresentano i voti che il Signore, nella sua infinita misericordia, ha esaudito.
Sono i segni delle grazie ricevute: guarigioni, conservazione della salute, impiego, promozione scolastica, felice esito di una iniziativa, conversione, pacificazione, buon fidanzamento, ecc. I fedeli avvertono il valore del voto e soprattutto i beneficiati lo suggeriscono. Non esiste ragione per non raccomandarli. Non bisogna temere che il tempo dei miracoli o delle grazie straordinarie sia concluso. “Chiedete e riceverete” è una raccomandazione di Gesù, donare è il desiderio di chi ama e dispone di possibilità. I Santi hanno il potere di intercessione. La Chiesa li assume patroni e invita ad invocarli, essendo indiscussa la loro intercessione. Miracoli e grazie sono segni della presenza attiva di Dio in mezzo agli uomini. I Santi li hanno operati da vivi sulla terra, a maggior ragione li ottengono in cielo.
La processione
La processione di sant’Antonio si svolgeva, fino a qualche decennio fa, l’ultima domenica di agosto ed era preceduta da una settimana di festa. Oggi è stata spostata al 13 giugno o alla domenica successiva. Il Santo, un tempo, percorreva le strade principali di Barcellona, fino al ponte sul torrente Longano, tragitto che è stato successivamente limitato ai quartieri di Sant’Antonino, San Francesco di Paola e Militi. La processione è sempre molto partecipata e sentita dal popolo, che accorre numerosissimo ad accompagnare il simulacro del Santo per le strade, adornate con luci, fiori, coperte e bandierine. Fino a qualche decennio fa vi era l’usanza di ornare la statua di sant’Antonio, il giorno della processione, con riquadri di velluto rosso a cui erano cuciti gli ex voto.
L’orazioni a sant’Antuninu
Appartengono pure alla tradizione barcellonese due preghiere rimate in vernacolo, tramandate oralmente, che richiamano la potente intercessione di sant’Antonio a favore degli orfani e dei bisognosi e una sacra conversazione. Ne trascriviamo una delle tante varianti, così come gli anziani sono soliti recitarla.
La urfanedda di Sant’Antuninu
A Palermu c’è na ‘gghiesa di valuri,
d’i gran billizzi non si pò vaddari,
dda’ intra c’è un Santu chi fa grazie di kentinuu:
lu gluriusu di sant’Antuninu.
E c’era un cavaleri, lu mischinu,
chi era ciuncu di mani e di pedi;
‘nsonnu ci cumpariu sant’Antuninu,
ci dissi allegramenti : “Cavaleri, comi stai cu li to duluri?”
“E comu è stari cu li me duluri: sugnu ciuncu di mani e di pedi!”
Ci dissi: ”Cavaleri chi mi duni? Tempu tri ghiorna ti fazzu sanari”
“Cci dugnu li me strati e li me beni,
puru la robba mia e li me dinari,
non minni ‘ncuru poviru ristari,
basta chi la saluti torna arreti”
“Non vogghiu né i tò strati né i tò beni,
mancu la robba tua e li tò dinari.
Cu n’orfina ti vogghiu maritari,
chi cianci notti e gghiornu a li me pedi”
E comu lu cavaleri si misi a risbbigghiari,
lu sonnu a sò mamma cci ‘ha ccuntatu.
Dici: “Mamma, chi bellu sonnu m’haiu ‘nsunnatu!
Sant’Antuninu mi voli maritari!”
“O figghiu, li sonnira non si ponnu accriditari,
non dicu chi lu Santu n’è di valuri,
chi chissu e chiù di chissu la po’ fari,
iemu alla gghiesa e non pigghiamu erruri”
‘Ncarrozza si mitteru ddì signuri
e subitu alla gghiesa hannu rrivatu,
tridici altari s’hannu firriatu
e alli pedi di sant’Antuninu l’hannu ‘ntruvatu“.
C’haviti, figghia, chi cianciti a stura?
Lu vostru gghiantu è ‘ntò me pettu ancora.
Vui siti zita e mi viniti nora,
lu vostru zitu è chi v’aspetta fora.
“Signura, mi vuliti strizziari,
iò pregu a sant’Antuninu pi muriri!
“O figghia non vi vogghiu strizziari.
S’ammia non mi vuliti accriditari,
lu vostru zitu è chi v’aspetta fora”
‘Ncarrozza si metteru ddi signura
e subitu o palazzu hannu rrivatu
e allu nutaru subitu hannu gghiamatu.
E comu lu cuntrattu si facia
lu cavaleri ‘mpedi si mittia,
e comu lu cuntrattu fu ffinutu
lu cavaleri ‘mpedi sà mittutu.
Ki alligrizza ieppiru ddi signura:
Pi ottu ionna tinnuru fistinu
chi cu ‘nchianava e cu scindia
dicia un Patri Nostru e n’ Avi Maria
a gloria du’ miraculusu di sant’Antuninu.
E ognunu ci facia la bonura,
di urfanedda divintoi signura,
era vistuta di cannavazzeddi,
ora è vistuta di bianco linu
la urfanedda di sant’Antuninu.
Sant’Antuninu quand’era malatu
Sant’Antuninu quand’era malatu
tutti li santi lu ieru a vidìri:
la Madunnuzza cci purtò un granatu,
san Giusippuzzu ‘ddu puma gintili.
Cci dissi poi: “Guverniti, ciatu
ch’in Paradisu ni iemu a gudiri”.
La scheggia di marmo
Raccontano gli anziani, che a loro volta lo hanno appreso dai propri nonni, un particolare curioso, “un miraculu di sant’Antuninu”, che riguarda il bassorilievo marmoreo collocato sul portalino laterale della chiesa. Alla formella, che rappresenta sant’Antonio di Padova con in braccio il Bambino Gesù, manca lo spigolo in alto a destra. Ebbene, durante la soppressione ottocentesca del convento, un soldato avrebbe cercato di asportare impunemente il bassorilievo, ma senza successo. Il suo comandante, allora, munito di mazza e scalpello, imprecando contro il soldato, si sarebbe arrampicato a sua volta per compiere il gesto sacrilego. Ma, al primo colpo di scalpello, una scheggia di marmo si stacca dal bassorilievo, ferendo all’occhio l’uomo. Da allora, si dice, nessuno osò più rimuovere il Santo e l’immagine, sfidando i secoli e le avversità, dal Seicento continua a vegliare sui passanti, ancora oggi oggetto di venerazione.
Non solo a Sant’Antonino…
A Barcellona la devozione al Santo di Padova non è confinata solo al Convento di S. Antonino. Tante altre chiese della città, infatti, hanno un altare dedicato a sant’Antonio, testimonianza della grande diffusione del suo culto.
- Nella Basilica minore di S. Sebastiano Martire, una statua del Santo è custodita in un altare laterale sormontato da una vetrata con simboli antoniani.
- Nel Duomo di S. Maria Assunta, in una cappella laterale, sono collocate una tela settecentesca con l’apparizione del Bambino Gesù al Santo, proveniente dall’ex chiesa di san Vito, ed una statua in cartapesta.
- Nella Chiesa della Madonna dell’Itria, nel quartiere Petraro, è collocata, lateralmente al presbiterio, una statua in cartapesta del Santo del 1913.
- Nella sacrestia della Chiesa di S. Antonio Abate vi è una statua in cartapesta del Santo, opera documentata di Matteo Trovato del 1911.
- Nella Chiesa di S. Francesco all’Immacolata (chiesa dei Cappuccini) il secondo altare laterale sinistro custodisce una tela seicentesca della Porziuncola, in cui è raffigurato anche Sant’Antonio.
- Nella Chiesa di S. Giobbe in Cannistrà sono venerate una statua lignea del Santo e una tela (copia di una originale trafugata), raffigurante la Madonna della Provvidenza tra i santi Giobbe, Antonio di Padova e Francesco d’Assisi.
- Nella Chiesa dei SS. Andrea e Vito è stata collocata, nel 2019, una statua in cartapesta di sant’Antonio, donata da privati e restaurata.
- Nella Chiesa di S. Maria di Portosalvo è venerata una statua in cartapesta di sant’Antonio dei primi del Novecento.
- Nella chiesa di S. Maria Maggiore di Gala si custodisce una statua in legno del santo taumaturgo del Novecento.
- Nel Santuario della Madonna del Carmelo a Pozzo di Gotto era presente una tela settecentesca con S. Giuseppe, S. Antonio di Padova ed altri santi, parzialmente danneggiata durante un tentativo di furto e attualmente collocata in convento.
- Nella Chiesa ormai diruta del Monastero basiliano di Gala vi era un quadro di Sant’Antonino nell’Altare del medesimo (da Filippo Imbesi, TERRE, CASALI E FEUDI NEL COMPRENSORIO BARCELLONESE, pag. 145)
- Nella Chiesa di S. Paolo esisteva un altare laterale con la statua di legno di Santo Antonino (da Giovanni Cutrupia, GIULIANA DELLE CHIESE DI CASTROREALE E SUE BORGATE, anno 1731, a cura di Antonino Bilardo, pag.80).
- Nell’antica Chiesa di S. Maria del Piliere di Acquaficara, in un altare laterale, vi era il quatro di Santo Antonino (da Giovanni Cutrupia, GIULIANA DELLE CHIESE DI CASTROREALE E SUE BORGATE, 1731, a cura di Antonino Bilardo, pag.79).
- Nella Chiesa di S. Giuseppe, oggi ridotta a un rudere lungo la via Garibaldi, l’altare maggiore custodiva una tela della Madonna con santi, tra cui sant’Antonio di Padova (da Filippo Imbesi, FLOS-CINIS. EPIGRAFI NELLE CHIESE DI BARCELLONA POZZO DI GOTTO, p. 21).
Inoltre, diffusissimo è il nome del Santo, soprattutto nelle sue diverse varianti: Nino, Antonino, Tonino, Nina, Antonina, Antonella, Nuccia, Ninetta, Antonietta e, in dialetto, Ninai, da non confondere con ‘Ntoni che, invece, fa riferimento a sant’Antonio Abate, il cui nome, del resto, assunse il nostro Santo, quando indossò il saio francescano.